Otto elementi per l’equilibrio secondo l’insegnamento del Buddha

Il principale obiettivo della nostra pratica, e in definitiva della nostra filosofia e disciplina di vita, altro non è che il raggiungimento dell’equilibrio in ogni sua forma. Non a caso ogni trattazione svolta finora contiene nel suo titolo la parola “equilibrio”.
Ora parleremo di otto elementi, indicati dal Budda, per la Via verso l’Equilibrio.
Vorrei chiarire che non sto impartendo una lezione di religione Buddista. Né mi sto riferendo in particolare al Buddha Shakamuni, cioè a Gautama Siddharta. Uso il termine Buddha per riferirmi alla Saggezza in senso assoluto e non a quel Buddha in particolare.
Molti mi chiedono, sia giornalisti nelle interviste sia allievi in privato, se io sia Buddista. La mia risposta è che, benché mia madre fosse Buddista e quindi io sia nato nella cultura Buddista, benché io sia molto appassionato agli insegnamenti Buddisti e li studi con entusiasmo da sempre, nonostante tutto ciò io non so se posso dire di essere Buddista. O meglio, non so se sono in grado di essere Buddista!
Desidero precisare che io amo e pratico anche il Taoismo, che amo e pratico il Kung Fu. Ma non mi piace l’idea di considerarmi Taoista o “Kungfuista”. Così come non mi piace considerarmi Buddista o in ogni modo “ista” di qualsiasi cosa. C’è una grande differenza fra l’apprezzare un pensiero e l’appartenere a una corrente di pensiero o a una religione o filosofia. Sostenere una corrente significa spesso perdere spontaneità, diventare legati e dipendenti da una prescrizione che, a quel punto, limita la libertà di far spaziare il proprio pensiero. Ho perfino sempre rifiutato di avallare la fondazione di una grande federazione di miei allievi ed ex allievi per evitare che la mia scuola diventasse un movimento! Ho voluto invece mantenere una dimensione contenuta per la mia scuola nella convinzione che, con l’aumentare del novero di allievi, aumenti il distacco dal principio di origine, dal concetto primario.
Il Buddha indicò tre situazioni da superare per giungere all’Illuminazione. L’attaccamento, l’ira e l’ignoranza. Si intenda per “attaccamento” il desiderio condizionante nei confronti di qualsiasi cosa. Per “ira“ la rabbia e l’aggressività. Per “ignoranza” la mancata o errata conoscenza, in primis di se stessi.
Il Buddha indicò altresì otto vie da percorrere per liberarsi da questi tre fardelli e giungere così al fine ultimo della liberazione e dell’Illuminazione. Queste otto vie sono la medicina per curare le malattie radicate nel profondo dell’animo umano.
Queste otto vie sono:
Corretto Vedere
Corretto Pensare
Corretto Parlare
Corretto Agire
Corretto Vivere
Corretto Sforzarsi
Corretta Consapevolezza
Corretto Meditare

Corretto Vedere: saper vedere le cose per ciò che veramente sono senza essere influenzati dai propri pensieri, pregiudizi o preconcetti. Non è facile conservare una visione limpida. Nella storia dell’uomo ogni volta che le cose sono state viste attraverso il filtro dell’attaccamento, dell’ira e dell’ignoranza si sono generati problemi. La vista secondo il Buddha deve precedere il pensiero, in modo da essere pura e limpida, e non il contrario.
Il Buddha si pone questa domanda: come mai l’uomo, pur sapendo che queste deviazioni portano sempre con sé dolore e sofferenza, continua a indulgere in esse? Come mai anche nel momento in cui l’uomo capisce che queste sono tre cause di sofferenza, ricomincia un attimo dopo ad incoraggiarle? Come si può dunque correggere questa umana debolezza?
Conoscere e riconoscere queste tre cause di sofferenza e non farsi catturare da esse. Questo è il Corretto Vedere. Abbiamo già discusso “l’equilibrio del vedere” al quale vorrei ricollegarmi rammentando l’esempio dell’essere seduto su un treno fermo mentre parte il treno a fianco. Sembra che sia il nostro treno a muoversi, ma non è così. E’ solo uscendo al di fuori delle situazioni, come se si fosse spettatori e non protagonisti, che si riesce a vedere correttamente.
Parlando del Kung Fu, che noi pratichiamo, si può cercare di applicare lo stesso ragionamento. Cos’è il Kung Fu? O meglio, qual è il principio essenziale del Kung Fu? Forse la Forma Base? O il combattimento libero? L’atteggiamento? Calci e Pugni?
Secondo me, spogliandolo di ogni condizionamento visibile, il Kung Fu arriva all’essenza del principio Yin-Yang secondo il quale le due qualità primarie e opposte stanno insieme e si combinano ma si combattono. E in questo modo creano l’armonia dell’universo. Cercando di guardare al Kung Fu secondo il “Corretto Vedere” mi sento di enunciare questa nuda e semplice verità che non è scritta in nessun libro e non è stata detta da nessun maestro: due praticanti di Kung Fu sono come Yin e Yang; si combattono, si affrontano, per fondersi e combinarsi. Per il benessere e il miglioramento.
L’essenza, in fondo, non è altro che questa. Questo modo di vedere è diventato possibile per me proprio grazie all’insegnamento del Buddha!
Un esempio quotidiano: guardando una donna dobbiamo vedere solo la sua minigonna? O il suo viso? O il suo seno? Ecco ancora prezioso l’insegnamento del Buddha che ci dice di vedere prima del pensiero e oltre il pensiero. Non ciò che appare ai nostri occhi influenzato dai nostri attaccamenti, ma ciò che realmente è, oltre l’apparenza effimera.

Corretto Pensare: Non è diverso il principio rispetto all’argomento precedente. E’ indispensabile liberare la mente da ogni condizionamento preesistente. Una mente che parte da una qualsiasi condizione è già chiusa. Non posso pensare da uomo o da donna, da adulto o da anziano o da ragazzo, da italiano o da americano o da cinese. Il Corretto Pensare nasce prima di ogni altro pensiero e non ha limiti di apertura. Non ha pregiudizi né assiomi. E’ libero ed infinito.
Lo Zen insegna a non discutere su nulla, a non portare avanti o difendere un’idea o un’opinione. Tutto va buttato, lasciato. Ogni pensiero, ogni idea, ogni opinione deve essere persa, abbandonata. Questa è la vera meditazione nello Zen.
Se si abbandona ogni pensiero, se si precedono le barriere che il pensiero mette a se stesso allora si potrà riflettere in se stessi l’intero universo. Così il rosso sarà veramente rosso; il bianco, bianco. La montagna sarà la montagna. La mente sarà limpida come uno specchio grazie al corretto pensare e non mai deviata da attaccamento, ira o errata conoscenza. Essa è come una tazza di the. Se è già piena non sarà possibile aggiungere altro the! Senza il Corretto Pensare noi cerchiamo di scrivere su un foglio già scritto. Vuotiamo la mente: sarà allora vuota la tazza da riempire, bianco il foglio sul quale scrivere.

Corretto Parlare: Vedere e Pensare sono azioni interiori, che hanno la propria ragion d’essere all’interno del soggetto. Sono come il seme che viene piantato nella terra: c’è ma non si vede. Invece il parlare fa già parte delle piante che si sviluppano da tale seme; esso si manifesta al di fuori di noi, all’esterno. Per questo richiede ancora più attenzione! Per questo il Corretto Parlare è ancor più delicato. La parola, una volta detta, non può più essere cancellata! Si dice, e a ragione, che la lingua sia un’arma micidiale. Si dice altresì che la lingua, non avendo osso, è ancor più difficile da tenere a freno, da controllare. Morbida com’è le è facile scappare da qualsiasi parte! Si può cancellare o correggere una cosa scritta, si può non manifestare un pensiero anche dopo averlo concepito, ma non c’è modo di tornare indietro su ciò che è stato espresso.
Abbiamo fatto già in precedenza un’esauriente trattazione dell’argomento quando abbiamo parlato dell’equilibrio della Sincerità. Si è detto in quella sede che la parola “sincerità”, così come descritta dall’ideogramma che l’identifica, può tradursi come la combinazione di due segni, e cioè “parola” e “risultare”. Cioè “parola che risulta, che si realizza, si attua”. O anche, se vogliamo, “mantenere la parola”. Abbiamo anche detto, parlando di sincerità, che la lingua e il cuore dovrebbero essere connessi! Colleghiamo allora questo argomento al Corretto Parlare; connettiamo lingua e cuore, badiamo bene che le nostre parole non siano mai tradite dai fatti che le seguiranno e manteniamo onestà e sincerità nell’esprimere il nostro pensiero.
Ho sentito un detto in Italia, secondo il quale “le parole muovono le montagne”. Uno simile, in Corea, afferma che “una parola può pagare un debito di mille denari”. Dipende da quale parola naturalmente, da chi la pronuncia e da come viene pronunciata! Si dice anche che “con la parola di un saggio si commuove il popolo intero” e che “la parola di un politico può causare una guerra”.
Noi parliamo molto più del necessario. Parliamo tanto per dire qualcosa, del più e del meno, per passarci il tempo, anche solo per non fare brutta figura. Ma una sola parola mal detta (o mal capita) può causare a volte liti o problemi inimmaginabili. Siamo così abituati a dover dire qualcosa che davvero spesso parliamo anche se da dire non avremmo proprio nulla.
Per questo i padri saggi un tempo, quando i figli lasciavano la casa natale, raccomandavano loro di ascoltare molto e parlare poco. Per questo in oriente si dice che la lingua del saggio pesa cento quintali! E per questo è così importante il Corretto Parlare. Non significa che non si debba parlare per niente, ma che si debba parlare nel modo giusto! Una bottiglia vuota non fa rumore quando viene agitata. Neanche una bottiglia piena. Ma c’è una differenza enorme!

Corretto Agire. Abbiamo visto tre aspetti molto delicati ed importanti. Il vedere ed il pensare si sviluppano dentro di noi, il parlare nasce ed esce da noi. Ma l’agire è, ancora di più, ciò che noi creiamo verso il mondo. Con i tre aspetti precedenti abbiamo incoccato la freccia, teso l’arco e preso la mira. Ma l’agire è la nostra freccia già scagliata. L’azione compiuta è ciò che produrrà le conseguenze a nostro vantaggio o a nostro danno nel futuro! È il seme che prima o poi darà un frutto di qualche tipo. L’azione di oggi mette le radici di ciò che sarà domani. Questo, che si traduce nel principio di Causa-Effetto, è un concetto fondamentale del buddismo. Mille pensieri e mille parole valgono meno di un’azione.
Spesso nella nostra società ci si trova ad agire in modo non concorde con i nostri pensieri e le nostre parole. È quasi una prassi accettata il fatto che le azioni non possano essere sempre coerenti coi pensieri e con le parole! Ma il buddismo ci insegna che ciò è malvagio, è sbagliato. Le azioni devono essere sempre in linea con i pensieri e con le parole pronunciate. Ci viene indicato che innanzi tutto dobbiamo avere un pensiero corretto; dobbiamo esprimerlo poi con parlare corretto. E quindi far seguire un’azione corretta.
Un esempio per chiarire con quale dinamica si cade in errore. Un genitore dice al figlio di non giocare a carte, che quello è un gioco da frequentatori di bische. Il figlio obietta allora che il genitore gestisce una bisca! Come può parlare in quel modo! Il genitore risponde che lui gestisce effettivamente la bisca, ma non gioca! Lascia invece giocare gli altri!
Nella nostra cultura si considera normale che quando viene prodotto un reddito sia tutto a posto, ma se aprissimo la mente un poco di più non potremmo fare a meno di correggere il nostro modo di agire!

Corretto Vivere. La discussione su questo argomento è ancora più complessa. Necessari sono un corretto vedere ed un corretto pensare. Fondamentali un corretto parlare ed ancor più un corretto agire. Ma il Corretto Vivere è l’insieme di tutti questi precetti applicato ad ogni istante della vita, attimo per attimo, in ogni frangente!
È necessario un esempio per chiarire questo difficile precetto. Possiamo paragonare l’azione di due grandi personaggi della storia; essi hanno seguito il precetto del Corretto Vivere, anche se nel caso del primo dei due potrebbe, ad un esame non abbastanza attento, non sembrare.
Il primo dei due personaggi è Galileo Galilei. Quando il tribunale dell’Inquisizione lo costrinse ad abiurare le sue affermazioni che negavano la teoria geocentrica, egli effettivamente abiurò, ed ebbe salva la vita. È famosa la leggenda che vuole che lo studioso abbia mormorato sottovoce le parole: “Eppur si muove!”, riferendosi alla Terra, di cui aveva appena negato il moto, per non essere condannato come eretico.
Il secondo dei due personaggi è Socrate. Vissuto molto prima di Galileo, egli fu accusato di sobillare i giovani contro il governo e condannato a bere la cicuta, un veleno mortale. Gli venne offerta la possibilità di evadere e fuggire, ma egli rifiutò la fuga in quanto un simile gesto avrebbe palesato la sua colpevolezza, mentre egli aveva sempre sostenuto di essere innocente. Alla fine, piuttosto che barattare la sua verità con la vita, bevve il veleno e morì. Anche qui una leggenda narra che la sua donna, disperata, cercasse di convincerlo a salvarsi la vita. Al suo irremovibile rifiuto ella avrebbe detto: “Ma ti stanno condannando ingiustamente!”. Egli avrebbe risposto: “Preferiresti forse che io fossi condannato giustamente?”.
Potrebbe sembrare che Galileo avesse torto e Socrate ragione; anche se Galileo, ben conoscendo i metodi dell’Inquisizione, aveva in modo più che evidente i suoi gran buoni motivi per abiurare… Qui vorremmo però far notare che l’atteggiamento di Socrate rispecchia in modo perfetto, anche se in un caso estremo, il precetto buddista del Corretto Vivere. Ma d’altro canto il nostro Galileo, in modo meno stoico di Socrate, ha ugualmente praticato un Corretto Vivere secondo il pensiero del Buddha. Se consideriamo, infatti, che il libro che portò lo scienziato in tribunale fu da lui pubblicato ben sapendo che le conseguenze delle sue affermazioni sarebbero state molto dure; se teniamo presente che è stato comunque grazie a lui che, in seguito, si è dimostrata l’erroneità della teoria geocentrica; se consideriamo che negli anni a seguire egli si dedicò ad altri studi assai importanti (come quello sul moto uniformemente accelerato, o del pendolo; si ricordi che Galileo è considerato il fondatore del metodo scientifico!) senza però mai scrivere nulla di chiaramente falso, che smentisse gli studi astronomici che lo misero tanto nei guai. Se consideriamo tutto questo possiamo dire che alla fine egli visse coerentemente con ciò che vide, pensò e scrisse. Potremmo dire che da un certo punto di vista la sua abiura fu forse solo un prendere tempo, ma non un vero e proprio rinnegare se stesso.
Corretto Vivere è vivere coerentemente coi propri pensieri, col proprio vedere, col proprio parlare, col proprio pensare e col proprio agire. Galileo non smise comunque di fare lo scienziato. Se ami vivere facendo il contadino ma chi ti sta attorno, genitori, moglie o marito che sia, ti vuole ingegnere, il tuo dovere, secondo il Buddha, è di essere contadino, e non ingegnere!

Corretto Sforzarsi. Attuare i cinque precetti precedenti è un bel risultato. Ma per conseguire prima e mantenere poi tutto ciò è indispensabile la capacità incrollabile di sforzarsi. Esempio: è lodevole in molti individui la decisione di iscriversi ad un corso di Kung Fu. Ma se la pratica, come talvolta accade, si limita a due forme base e termina non appena la cosa si fa faticosa, o appena l’insegnante sgrida, allora non si arriva a nulla. Senza sforzo costante non esiste risultato di valore. Quante volte non si avrebbe voglia di fare il proprio dovere. A volte la pigrizia ci impedisce perfino di fare ciò che ci piace! Ecco che la capacità di sforzarsi e la costanza nello sforzo sono la chiave indispensabile senza la quale nessuna porta può essere aperta. Forse il motivo primo per studiare un’Arte Marziale è proprio quello di imparare a sforzarsi. Se penso di mettermi sotto l’albero con la bocca aperta e la faccia in alto ad aspettare che un frutto mi piova in bocca già sbucciato non ho nessuna speranza! Ma posso invece arrampicarmi sull’albero e scegliere il frutto migliore!
Ecco la traduzione di quel che è scritto negli antichi libri di testo in merito al Corretto Sforzarsi: “Che tu sia malato o in salute, che tu abbia o non abbia tempo, stanco o riposato, per dieci, cento, mille anni, prosegui sempre!”. Questo è il corretto sforzarsi.
Quando al mio Maestro dicevo di non potermi allenare perché ero ammalato, lui rispondeva che avrebbe accettato quella scusa, ma solo quando mi avesse visto svenuto in palestra, e in nessun altro caso!

Potremmo fare un paragone chiarificatore: le cinque Vie che abbiamo descritto finora, se attuate correttamente, sono come l’aver acquistato una buona automobile. Avere una buona automobile è già tanto, ma se questa viene lasciata inutilizzata in garage finirà prima o poi per riempirsi di ragnatele e ruggine, e in definitiva non partire più. Si potrebbe obiettare che nessuno acquisterebbe una vettura per lasciarla in garage ad ammuffire. É vero! Ma se invece parliamo, ad esempio, della tenacia nell’allenare le tecniche apprese in palestra attraverso la costante ripetizione, vediamo subito che questo tipo di automobile viene lasciato fermo in garage assai spesso!
Quindi attuare le vie indicate con un corretto sforzo è indispensabile. Corretto significa anche proporzionato non eccessivo; ma senza sforzo cedendo alla pigrizia, la peggior insidia sempre in agguato, non si avrà miglioramento. Anzi le virtù
Acquisite finiranno col disperdersi, inaridirsi.
Noi praticanti di Kung-fu (e naturalmente anche di Tai Chi) in particolare dobbiamo assolutamente capire questo fondamentale principio perché è attinente al nome stesso della disciplina alla quale ci applichiamo: dobbiamo capire perché Kung-fu significa “duro lavoro” o “merito”. Nel kung-fu ciò che si ottiene è esattamente proporzionato allo sforzo prodigato. Senza sforzo non c’è merito né progresso.
Quindi il primo sforzo di chi intende praticare è proprio quello di imparare a sforzarsi.
Attraverso lo sforzo giunge il merito, che è il kung-fu stesso, nel suo più profondo significato.
Non dobbiamo dimenticarlo!
A nessuno piace fare fatica! Tutti vorremmo poter evitare di sforzarci di stancarci. L’indole del corpo e dello spirito tende sempre ad indulgere alla pigrizia. Ma anche l’acqua in natura non va sempre in discesa. A volte sta nel mare, a volte percorre un fiume, a volte precipita in una cascata
volte sale fino al cielo formando le nuvole. Altre volte ancora scorre sotto terra, tre rocce o nella sabbia perfino nel deserto. A volte diventa temporale e può perfino manifestarsi in maremoto di proporzioni immani. Se anche noi impariamo a disciplinarci, se impariamo ad abituarci allo sforzo, se accettiamo di impegnarci anche in quello che non ci piace, allora non ci sarà maremoto al quale non sapremo sopravvivere. Chi è abituato a sforzarsi trova sempre un modo, per ogni cosa.
Nel mondo d’oggi possiamo fisicamente vedere quanto si tenda sempre più a ricercare risultati facili. Tutti vogliono fare soldi facili, ottenere risultati rapidi, persino essere belli e magri senza sforzo. A costo di finire sotto i ferri di un chirurgo! I giovani spesso vogliono iniziare la carriera dai gradi più alti, saltando ad ogni costo la “gavetta”. Per non parlare poi, nel settore sportivo e perfino nelle arti marziali, del fenomeno del doping! Non sono pochi coloro che pur di ottenere prestigiosi risultati, sono pronti ad assumere sostanze assai nocive! C’è una vera e propria gara maniacale alla ricerca di soluzioni facili per tutti, che crea guadagni colossali. Nuove discipline sportive, nuove apparecchiature, nuove tecniche per far arrivare risultati con il minimo impegno. Ad esempio nelle arti marziali, nessuno vuole più praticare il tradizionale perché è lungo e faticoso da apprendere, così nascono nuovi stili moderni, facili e basati soltanto sull’apparenza! Questi costumi si vanno diffondendo sempre più e non è bene perché in questo modo si perdonale origini! Se non si parte dalla disciplina, dalla abitudine a sforzarsi con tenacia e costanza, si perde la base dalla quale si è partiti. E senza radici, il rischio è di perdersi. E’ questo un fenomeno che si sta verificando a livello globale, e non solo a mio avviso. Se ne sente parlare sempre più spesso, in vari ambienti e a vari livelli. Perfino a livello delle Nazioni Unite si è discusso di questo problema. Dobbiamo meditare tutti a lungo e molto attentamente su questo.
Vorrei a questo punto portare la mia personale esperienza in merito all’argomento: mi sono sempre sentito dire di essere un uomo forte e volenteroso. E penso, in effetti, di poter dire di esserlo. Ho sopportato addestramenti durissimi, ho combattuto ai campionati mondiali. Ho fatto molte cose nella mia vita. Ma più di tutto ho amato il Kung-fu. Benché abbia completato i miei studi, ho rinunciato alla professione ad essi attinente per potermi dedicare completamente all’Arte Marziale. Ho dedicato la mia vita alla pratica e all’insegnamento, perché è la cosa che più mi piace, sopra ogni altra. Eppure perfino io mi trovo alle volte a non avere voglia di fare allenamento! Ho avuto corsi in tutta Italia e mi è capitato spesso di viaggiare in treno dall’Alto Adige o dal Veneto fino ad Agrigento o a Caltanissetta in Sicilia! Si può immaginare, ad esempio, con quale stanchezza ci si ritrovi dopo tante ore in treno (io viaggio in seconda classe!) e in quale stato d’animo ci si possa trovare al momento di indossare la divisa per disporsi ad allenamenti di quattro o cinque ore senza sosta dopo un viaggio del genere! È comprensibile, credo, che allenarsi sia l’ultima cosa al mondo che si farebbe! È la classica situazione in cui la mente suggerirebbe invece di mangiarsi una bella pastasciutta, bersi una bella birra fresca e fare un riposino! Questo capita, dicevo, perfino a me, che ho così tanta passione per l’Arte Marziale! Ma ogni volta che indulgo in questi pensieri vorrei bastonarmi da solo, mi impongo di superare la pigrizia, finché reagisco e faccio il mio dovere con tutto l’impegno di cui sono capace. Alla mia età e con il mio grado, in fondo, potrei permettermi di fare lezione da seduto; mettere un allievo anziano a guidare gli allenamenti e fare solo la supervisione dei corsi. Ma io invece continuo ad allenarmi insieme agli allievi; ad eseguire tutto il programma dall’inizio alla fine e a combattere la pigrizia. Quando però, dopo l’allenamento, mi aspetta una bella doccia e posso finalmente concedermi la famosa pastasciutta e la famosa birra fresca, vengo ripagato molto largamente del sacrificio fatto!
Non credo sia definibile la sensazione che si prova appena usciti dalla doccia, dopo una bella sudata in palestra. E’ una tale gioia, una felicità tanto intensa che non so trovare le parole per descriverla! E quanto è più buono il cibo! Quanto può essere straordinario anche solo un bicchiere d’acqua! Per non parlare poi di un buon bicchiere di vino!
Sarebbe stato appagante anche il ristoro; ma quanto più guadagna il nostro spirito quando il ristoro arriva dopo avere sciolto il corpo, attivato le energie e fatto il proprio dovere!
La felicità è fatta di piccole grandi cose.
Ancora una volta vorrei evidenziare che all’inizio e al termine di ogni allenamento siamo soliti pronunciare la parola “inne”. Lo facciamo perché “inne” significa “pazienza!
Corretta consapevolezza. La settima tra le otto Vie indicate dal Budda è la corretta consapevolezza.
Nella scrittura a ideogrammi il significato più appropriato della parola “Jhong Gnom” sarebbe traducibile come Corretto Risveglio”.
L’importanza della consapevolezza è paragonabile a quella di un maestro, o di una guida, lungo il cammino. È il continuo controllo sulla direzione presa. È la continua verifica di se stessi. È un pò come il fegato per il corpo umano, che filtra ogni cosa. È la capacità di verificare, controllare che i pensieri e le azioni siano davvero in linea coi nostri propositi.
Qualche volta ci accingiamo a compiere un’azione. Con l’idea precisa di ciò che abbiamo in mente di fare. Ma poi, strada facendo, non ci accorgiamo di aver magari compiuto un’altra cosa, di avere deviato dal nostro proposito iniziale, dal nostro cammino. Intendo dire che spesso, in modo del tutto inconsapevole, ci ritroviamo a compiere un’azione diversa da quella che credevamo di fare; sovente non ce ne rendiamo nemmeno conto.
La capacità di sorvegliare con attenzione ciò che facciamo fa la differenza tra essere diligente ed essere un buffone! Tutti sono capaci di pianificare pensieri ed azioni in modo corretto, ma portare a termine qualcosa senza scivolare fuori via non è semplice!
Facciamo un esempio molto chiaro: se mentre guido l’automobile cedo ad un colpo di sonno cosa può succedere? La consapevolezza è rimanere sveglio mentre guido, accorgermi istante dopo istante di dove sono e cosa sto facendo!
Vorrei far notare come spesso capiti, a lezione, di vedere allievi palesemente infastiditi quando il maestro o l’istruttore li correggono. Ma se si partecipa alla lezione allo scopo di migliorare allora si dovrebbe essere contenti di ricevere una correzione! Eppure questo tipo di evento si verifica assai spesso. Ancora peggio però è quando un allievo anziano o un’insegnante portano una correzione e non si accorgono che stanno essi stessi facendo proprio lo stesso errore. Ecco perché bisogna essere sempre molto vigili e consapevoli! Nello studio dell’Arte Marziale la consapevolezza è un requisito fondamentale, da ricercare ed esercitare continuamente.
Un guerriero deve conoscere il nemico per poterlo battere. Un condottiero deve essere consapevole dei punti forti e dei punti deboli dell’esercito nemico come se fosse il suo se vuole poter vincere in battaglia!
Ancora: dobbiamo saper distinguere gli amici dai nemici! A volte chi ci sembra amico è in realtà contro di noi, mentre capita di considerare nemici coloro che in realtà sono con noi! Un maestro severo, un padre severo, possono dare un’idea dei loro sentimenti che è l’esatto opposto della realtà. Mio padre era così severo con me che pensavo addirittura che mi odiasse. Ma con gli anni ho compreso quanto tenesse a me, e quanto mi sia servito essere educato in quel modo. Ho compreso poi, negli anni, quanto debba essergli costato educarmi con severità!
Parliamo ora dei metodi utilizzati dai praticanti di Arti Marziali e dai monaci per addestrarsi nella Corretta Consapevolezza.
Il metodo principe, l’esercizio per eccellenza è la meditazione. In un luogo silenzioso, possibilmente in mezzo alla natura, il praticante rimane seduto (ma se occorre anche in piedi), immobile, eseguendo respiri lenti e profondi, allo scopo di calmare la mente. Perché una mente calma è più limpida e molto più attenta, molto più pronta, reattiva.
A quel punto si cerca di osservare se stessi come se si uscisse dal corpo; come se ci si stesse guardando da un punto di vista differente. Il soggetto diventa oggetto e la mente riesce a vedere le cose così come sono, senza coinvolgimento. Naturalmente questo è il punto di partenza, e il luogo appartato e silenzioso serve per abituarsi a questo atteggiamento di osservazione non coinvolta; una volta conseguita l’abitudine, una volta acquisita la capacità, si cerca di mantenerla poi in ogni situazione, in ogni momento della propria vita. Si deve praticare con tenacia.
Nel Kung Fu il metodo per acquisire la consapevolezza è assai duro. Il mio maestro diceva che il praticante deve iniziare abituandosi a combattere senza attaccare. Solo subendo i colpi. Si deve osservare con calma e freddezza ogni colpo che arriva: come arriva, da dove arriva, dove colpisce, con quanta forza e così via. Si deve subire il colpo come se non fosse diretto a noi; osservarlo freddamente liberandosi da ogni coinvolgimento. Abituarsi a mantenere la calma e il distacco quando ci si trova sotto una gragnola di pugni e calci non è certo facile, ma da un punto di vista filosofico il combattimento nel Kung Fu, nel suo significato più elevato, non è altro che questo. Totale consapevolezza; assenza di coinvolgimento, perfino quando siamo in situazioni di emergenza o di pericolo. Quando si assiste ad un incontro si ha spesso la sensazione che ai combattenti sfuggano occasioni buone che dall’esterno si vedono nettamente. E difatti si dice, in ogni sport da combattimento, che guardando da fuori sembra sempre tutto molto più facile, mentre per chi sta in pedana la faccenda è ben diversa! Quando quello che sta sotto sei tu il coinvolgimento stravolge ogni percezione. Per questo la ricerca della perfezione nel Kung Fu passa dalla capacità di sopprimere le emozioni in combattimento. Per questo la consapevolezza è la chiave della perfezione nel confronto.
A sostegno una volta in più dell’importanza attribuita alla consapevolezza: pare che alcuni monaci, per meglio addestrarsi, eseguano in speciali ritiri pratiche durissime; come ad esempio quello di rimanere seduti per interi giorni e notti senza mai dormire e senza mangiare, addirittura legati al soffitto dai capelli in modo da non potersi spostare! Altri ancora si esercitano fino ad abituarsi a dormire in piedi, come segno di continua e costante attenzione e consapevolezza!
Cerchiamo di non dimenticare mai che attraverso la consapevolezza possiamo andare esenti da molti errori. Che a volte si pagano davvero cari. L’ultimo esempio che desidero portare per chiarire è quello dei genitori. Vedo spesso figli trattare i genitori con sufficienza, a volte rispondere con impazienza, se non addirittura in modo sgarbato. Ci sono figli addirittura abituati a rispondere in modo sbrigativo ai genitori, magari anziani. E non sto parlando solo di ragazzini o di adolescenti nella fase ribelle!
Chi ha perso un genitore sa quale vuoto rimane dopo questa perdita. E quanto tempo si ha poi per pentirsi amaramente di non essere stati un poco più pazienti coi propri genitori! Questo vale per loro come per ogni altra cosa di valore che siamo così abituati ad avere sotto gli occhi da non ricordarne più l’importanza.
Abbiamo già trattato a lungo questo aspetto così importante; qualcuno forse ricorderà la parabola “Scarpe storte, giacca storta” dell’uomo che lascia la casa della madre sola per una vita intera per cercare il Budda (che vi invito a ricercare tra i discorsi precedenti), per poi ritornare a casa senza aver avuto successo e trovare infine il Budda proprio nella madre!
In conclusione: attraverso la corretta consapevolezza non avremo mai di che pentirci un domani, e la nostra vita sarà di sicuro più equilibrata.
Meditare (Corretto Correggersi). Questa parola in coreano si dice “Jhong Jhong”. Suona uguale pronunciata, ma nella forma scritta la prima parola sta per “corretto” e la seconda sta per “correggere”.
Questa è l’ottava delle Vie di saggezza (gli indiani chiamano “Budda” tutto ciò che è saggezza!) indicate.
Se siamo riusciti a vedere correttamente, a pensare correttamente, ad agire correttamente, e così via fino a raggiungere una corretta consapevolezza, a cosa servirà tutto questo se poi non siamo capaci di attuare tutte le correzioni che sappiamo essere giuste? Non sarebbe forse come se, dopo aver lavorato duramente nella risaia e raccolto e preparato il riso, non lo si mangiasse lasciandolo andare a male?
Tutti penseranno ora che il riso invece viene mangiato e non va affatto a male, così come ognuno riterrà forse di essere assolutamente in grado di correggersi. Ma se riflettete un attimo noterete che non è così. Anche se siamo in grado di vedere cosa c’è da correggere abbiamo tutti sempre qualche motivo per non farlo, o per rimandare! Non c’è tempo, oppure si è troppo stressati e pensiamo di sistemare la tal cosa quando saremo più concentrati, e via dicendo. C’è sempre una motivazione volendo, ma il fatto è che la correzione va attuata subito! Questo è corretto correggersi.
Perché nella meditazione Zen si richiede una mente vuota, limpida?
Perché una mente vuota è come un foglio bianco. Ci si può scrivere sopra direttamente! Una mente vuota è in grado di accettare ed attuare ogni correzione, senza cercare storie o scuse!

Non è detto che la mancanza sia sempre inconsapevole, e neanche che sia sempre nascosta consapevolmente da qualche tipo di scusa! A volte sembriamo costretti a rinunciare a correggerci, dalle circostanze, dalle persone o dalla difficoltà di modificare certe situazioni. Può capitare che un superiore, ad esempio nel mondo del lavoro, ci forzi ad agire in un modo che riteniamo non corretto. Oppure che magari una persona cara ci imponga in qualche modo una condotta, in determinate circostanze, non giusta, o magari non sincera. Magari potremmo trovarci addirittura sotto minaccia, ed essere costretti con la forza ad un agire non corretto. Tutte queste situazioni possono verificarsi, ma non giustificano comunque, secondo l’insegnamento di questa Via, la mancanza di correzione. Talvolta correggersi comporta una brutta figura o la perdita di qualcosa. Ma, fosse anche solo la credibilità davanti ad una sola persona, la saggezza di queste otto Vie ci insegna a non temere di agire, compiendo le azioni che sappiamo in cuor nostro essere giuste. È necessario essere pronti a saper ricominciare da capo pur di correggersi.
Anche se il corretto correggersi ci richiedesse di perdere tutto, dovremmo essere pronti a farlo.
La nostra vita è piena di situazioni in cui sappiamo di agire in modo non corretto e, ciononostante, continuiamo nell’errore. Di certo con attenuanti, con motivazioni valide, per il bene di qualcosa o di qualcuno. Non siamo in grado tante volte di modificare situazioni oramai evolute in un dato modo; non riusciamo a svincolarci da situazioni senza via d’uscita. E per forza di cose la nostra anima arriva prima o poi a soffrirne.
Se la nostra aspirazione è quella di essere illuminati il migliore esempio ci viene dato dalla natura, che rinasce e ricomincia da capo ogni giorno. Lasciare tutto, ripartire da zero è quello che noi non sappiamo fare; proprio questo attaccamento ci impedisce tanto spesso di attuare le azioni che ci porterebbero alla giusta Via. Imparare a rinascere, a ricominciare da capo senza paura è la risposta che ci servirebbe e che abbiamo davanti agli occhi se osserviamo la natura. Essere pronti a ricominciare ci libera dalla paura di perdere ciò che possediamo e quindi ci libera da un legame che in qualche modo, condizionandoci, ci possiede e ci costringe a volte ad agire lontano dal corretto correggersi.
Non vorrei essere frainteso in questo discorso così delicato: non è detto che siamo per forza destinati senza scampo ad incorrere nell’errore. Ma quando ci rendessimo conto di dover correggere qualcosa nel nostro vivere, ci sarebbe di grande utilità l’aver saputo mantenere questo atteggiamento di non attaccamento e questa capacità di ricominciare da capo senza paura e senza rimpianto.
Saper mantenere una mente vuota, limpida come l’acqua e leggera come il cielo, per dirla con i classici, non è dunque importante solo ai fini della meditazione. È il presupposto per poter pensare e ripensare, giorno dopo giorno, continuamente, alla via che stiamo percorrendo. Ed è anche infatti la condizione migliore per potersi correggere, in quanto rende possibile questa sorta di continua rinascita, di azzeramento, che come abbiamo visto è una condizione naturale che purtroppo tendiamo a dimenticare.
Bisogna fare ancora attenzione. Essere in grado di cambiare giorno per giorno è un conto. Cambiare continuamente rotta è un’altro. La capacità di correggere va applicata quando serve, non quando non serve. Cambiare idea continuamente ad ogni occasione non è segno di saggezza; è segno di incoerenza. Così tanto quanto sia stolidità il non cambiare quando ci si accorge dell’errore! Queste otto vie ruotano tutte intorno ai nostri principi primi, e ad essi ci mantengono ancorati! Potremmo fare un paragone con il sistema di controllo di una macchina di produzione. Quando si accende una spia bisogna esser pronti ad intervenire sul problema. Un buon operatore sa cosa fare. Una spia che si accende in continuazione probabilmente è da tarare di nuovo!
Attenzione! Sembra che a questo punto abbiamo trovato la via per l’illuminazione. Ma non è qui l’illuminazione. È prima! Abbiamo visto il percorso delle otto Vie, che ci consegna il metodo per “produrre” l’illuminazione. Ma tutte queste otto Vie, collegate l’una all’altra come in una successione ciclica e circolare, fanno riferimento al famoso sistema di controllo di cui si parlava poc’anzi! Il principio, l’assioma! E se ci accorgiamo che qualcosa non va nel nostro sistema di controllo? Se scopriamo che qualcosa non va nei nostri postulati? Proprio qui sta la parte più importante: dobbiamo saper andare a prima dell’inizio; a “prima della nascita”, come scrivevamo nell’apertura del trattato sulle Otto Vie. Saper andare a prima dell’origine e, se occorre, ricreare da capo l’intero sistema fin dalle radici! Tarare di nuovo il sistema di controllo della nostra macchina di produzione, riprogrammarlo da zero.
E così siamo arrivati ad un buon punto di questa discussione. Abbiamo addirittura evidenziato come sia importante l’abilità di riprogrammare da zero la nostra “macchinetta”, per così dire. Ma come fare a rendere automatica ed efficiente questa continua ri-sistemazione dei nostri parametri? Come attuare l’impostazione del nostro Corretto Correggersi?
Si tenga presente che non sempre la correzione di cui noi siamo allertati dalla nostra famosa “spia” viene attuata come si pensa. Addico per tutti l’esempio di un allievo che si accorge dell’errore nella pratica, è convinto di correggere continuamente la sua esecuzione ma, di fatto, commette sempre lo stesso errore. Vede la spia accendersi, crede di correggersi, ma la correzione non c’è!
Per rispondere a questo dobbiamo di nuovo esaminare la tecnica della Meditazione. È infatti questa la tecnica che si identifica col correggersi in modo corretto.
La tecnica della meditazione nello Sen, o Zen, o Chan che dir si voglia, si basa per l’appunto sull’esercizio della capacità di uscire da se stessi ed osservarsi dall’esterno. Si tratta dunque di sviluppare ed affinare la perizia nel rimanere immobili ed osservare con occhio assolutamente libero da qualsiasi punto di vista soggettivo. Osservare se stessi nella completa oggettività, liberi da ogni condizionamento, eliminando le deviazioni di valutazione legate al coinvolgimento, di qualsiasi tipo esso sia. Sen significa “Guardare te stesso”, come in uno specchio. Jua Sen (Za Zen) significa “Seduto, guarda te stesso ”. Jua = seduto, Sen = osservare se stessi. Cioè capire se stessi nel profondo, essere consapevoli di se stessi.
Così, restando nella condizione di immobilità (la posizione del loto è la più indicata, per vari motivi, ma anche altre posture possono andare bene), ci si esercita nel controllare il proprio respiro; nel percepire, incrementare e dirigere la propria energia; nell’osservare il proprio cuore e la propria anima; nel governare i propri pensieri. È importante il discorso sull’energia perché senza energia è assai difficile mantenere in efficienza questo “apparato”. Il Corretto Correggersi richiede attenzione costante e pazienza instancabile.
Ora, si dovrebbe dedicare più tempo possibile all’esercizio del Jua Sen. Praticare mattina, pomeriggio, sera sarebbe buona cosa. Da sempre esiste chi si stabilisce in un tempio per meditare ogni giorno continuamente. Ma dato che non per tutti è possibile vivere in un simile modo, si dovrebbe cercare di mantenere e trasferire questa condizione di “Sen” anche alle altre fasi della nostra vita. Vale a dire che la nostra mèta dovrebbe essere quella di mantenere questa consapevolezza profonda, questa continua osservazione obiettiva, estendendola ad ogni nostra azione quotidiana.
In pratica l’esercizio del Jua Sen è la radice originaria, il punto di inizio. Il nodo primario da cui sviluppare la nostra condizione di meditazione continuativa. Ma sta a noi riuscire a rendere la meditazione, ed in questo senso, di conseguenza, anche il Corretto Correggersi, una condizione continua, uno stato in cui trovarsi. E non una situazione sporadica di beata lucidità da ritrovare ogni tanto, quando c’è tempo.
Avere la capacità di meditare da seduto senza mantenere la condizione di Sen in ogni altro atto e istante della vita è come capire la teoria senza saper applicare nella pratica. Molti sanno meditare da seduti, ma pochi sanno ritrovare lo stesso stato anche mentre fanno altro. Non saper meditare nell’azione è come parlare bene senza agire. Saper parlare ma tacere non serve! Oppure sognare soltanto senza realizzare. Si può pensare mille volte di fare una cosa. Ma finché non si agisce è come non aver nemmeno pensato!
Questi sono tutti esempi di come il saper meditare sia di poca utilità se limitato solo al momento della pratica da seduti. Essa quindi ci serve come allenamento, ci serve nell’apprendimento, ci riporta alla limpidezza nel momenti in cui la perdiamo. Ma la sua utilità termina qui se non sappiamo mantenerne l’effetto in modo permanente.
Nella pratica del Kung Fu abbiamo cinque virtù, la terza delle quali è la sincerità. Si dice nella filosofia del Kung Fu che non applicare la disciplina in ogni istante della vita significa non praticare in modo sincero. E non praticare in modo sincero è peggio che non praticare. Secondo il Taoismo conoscere lo Yin senza conoscere lo Yang (o viceversa) equivale a non conoscere nulla.
Meditare da seduti senza applicarsi in ogni “qui e adesso” della vita è come conoscere lo yin senza conoscere lo Yang. È la teoria senza pratica.
Ora la mia domanda è: se la tua mente è limpida e pulita, se il tuo cuore e il tuo spirito sono puri e desti, se la tua energia è concentrata nell’addome, se sei perfettamente consapevole, cosa può andar storto nella tua vita?

Se ci si aspettava che, nel parlare di Illuminazione, si trattasse di illustrare un modo di stare seduti a non far nulla, allora si sarà molto delusi!
Questo punto, quello della Meditazione, è proprio quello in cui ci si trova ad aver tutto da fare! È quello in cui si deve capire che è necessario prendere in mano la frusta per spronarsi in modo instancabile alla pratica!
È il momento in cui si rende il proprio spirito sempre pronto al repentino cambiamento, così come il corpo di un guerriero è sempre pronto, senza posa, ad agire e ad adattarsi al pericolo o ai colpi del nemico con rapidità ed agilità.
Direi proprio che la disposizione dello spirito è questa: alla fluidità, all’agilità, alla continua adattabilità, che non conosce riposo.

E cosi siamo arrivati ad un buon punto di questa discussione. Abbiamo addirittura evidenziato come sia importante l’abilità di riprogrammare da zero la nostra “macchinetta”, per così dire.. Ma come fare a rendere automatica ed efficiente questa continua risistemazione dei nostri parametri? Come attuare l’impostazione del nostro Corretto Correggersi?
Si tenga presente che non sempre la correzione di cui noi siamo allertati dalla nostra famosa “spia” viene attuata come si pensa. Adduco per tutti l’esempio di un allievo che si accorge dell’errore nella pratica, è convinto di correggere di continuo la sua esecuzione ma, di fatto, commette sempre lo stesso errore. Vede la spia accendersi, crede di correggersi, ma, di fatto, la correzione non c’è!
Per rispondere a questo dobbiamo di nuovo esaminare la tecnica della Meditazione. Infatti questa tecnica s’identifica col correggersi in modo corretto.
La tecnica della meditazione Sen, o Zen, o Chan che dir si voglia, si basa per l’appunto sull’esercizio della capacità di uscire da se stessi ed osservarsi dall’esterno. Si tratta dunque di sviluppare ed affinare la perizia nel rimanere immobile ed osservare con occhio assolutamente libero da qualsiasi punto di vista soggettivo. Osservare se stessi nella completa oggettività liberi da ogni condizionamento, eliminando le deviazioni di valutazione legate al coinvolgimento, di qualsiasi tipo esso sia. Sen significa “guardare te stesso”, come se la tua coscienza ti stesse osservando. Jua Sen (Za Zen) significa “seduto, guarda te stesso”. Jua =seduto, Sen=osservare se stessi. Cioè capire se stessi nel profondo, essere consapevoli di se stessi, non abbandonare la propria coscienza.
Così, restando nella condizione di immobilità (la posizione del loto è la più indicata, per vari motivi, ma anche altre posture possono andare bene), ci si esercita nel controllare il proprio respiro; nel percepire, incrementare e dirigere la propria energia; nell’osservare il proprio cuore e la propria anima; nel governare i propri pensieri. E’ importante il discorso sull’energia perché senza energia è assai difficile mantenere in efficienza questo “apparato”. Il Corretto Correggersi richiede attenzione costante e pazienza instancabile.
Ora si dovrebbe dedicare più tempo possibile all’esercizio del Jua Sen. Praticare mattina, pomeriggio, sera sarebbe buona cosa. Da sempre esiste chi si stabilisce in un tempio per meditare ogni giorno continuamente. Ma dato che non per tutti è possibile vivere in un simile modo, si dovrebbe cercare di mantenere e trasferire questa condizione di “sen” anche alle altre fasi della nostra vita. Vale a dire che la nostra meta dovrebbe essere quella di mantenere questa consapevolezza profonda, questa continua osservazione obiettiva, estendendola ad ogni nostra azione quotidiana.
In pratica l’esercizio del Jua Sen è la radice originaria, il punto di inizio. Il nodo primario da cui sviluppare la nostra condizione di meditazione continuativa. Ma sta a noi riuscire a rendere la meditazione, ed in questo senso, di conseguenza, anche il Corretto Correggersi, una condizione continua, uno stato in cui trovarsi, non una situazione sporadica di beata lucidità da ritrovare ogni tanto, quando c’è tempo.
Avere la capacità di meditare da seduto senza mantenere la condizione di Sen in ogni altro atto e istante della vita è come capire la teoria senza saperla applicare nella pratica. Molti sanno meditare da seduti, ma pochi sanno ritrovare lo stesso stato anche mentre fanno altro. Non saper meditare nell’azione è come parlare bene senza agire. E’ come saper parlare, ma tacere proprio quando servirebbe parlare. Oppure sognare soltanto senza realizzare. Si può pensare mille volte di fare una cosa, ma finche non si agisce è come non aver nemmeno pensato!
Questi sono tutti esempi di come il saper meditare sia di poca utilità se limitato solo al momento della pratica da seduti. Essa quindi ci serve come allenamento, ci serve nell’apprendimento, ci riporta alla limpidezza nel momento in cui la perdiamo. Ma la sua utilità termina qui se non sappiamo mantenerne l’effetto in modo permanente.
Nella pratica del Kung Fu abbiamo cinque virtù, la terza delle quali è la sincerità. Sincerità significa proprio che ciò che hai pensato o che hai detto si deve tradurre in un’azione concreta. Senza l’azione non c’è sincerità. Si dice nella filosofia del Kung Fu che non applicare la disciplina in ogni istante della vita significa non praticare in modo sincero. Non praticare in modo sincero è peggio che non praticare affatto. Secondo il Taoismo conoscere lo yin senza conoscere lo yang (o viceversa) equivale a non conoscere nulla.
Meditare da seduti senza applicarsi in ogni “qui e adesso” della vita è come conoscere lo yin senza conoscere lo yang. E’ la teoria senza la pratica.
Ora la mia domanda è: se la tua mente è limpida e pulita, se il tuo cuore e il tuo spirito sono puri e desti, se la tua energia è concentrata nell’addome, se sei perfettamente consapevole, cosa può andar storto nella tua vita?
Se ci si aspettava che nel parlare di Illuminazione, si trattasse di illustrare il modo di stare seduti a non far nulla, allora si resterà molto delusi!
Questo punto, quello della meditazione, è proprio quello in cui ci si trova ad aver tutto da fare! E’ quello in cui si deve capire che è necessario prendere in mano la frusta per spronarsi in modo instancabile alla pratica!
E’ il momento in cui si rende il proprio spirito sempre pronto al repentino cambiamento del corretto correggersi, cosi come il corpo di un guerriero è sempre pronto, senza posa, ad agire e a adattarsi al pericolo o ai colpi del nemico con agilità e rapidità.
Direi proprio che la disposizione dello spirito è questa: alla fluidità, all’agilità, alla continua adattabilità, che non conosce riposo.
Ho citato nel mio primo libro un famoso aforisma che recita: “Chi è forte non riposa”. Ho voluto addirittura che fosse messo in seconda di copertina perché avesse maggiore risalto. In quasi ogni scuola di Arti Marziali viene esposto questo principio. Si deve capire che non ci si riferisce al riposo biologico, naturalmente. È invece importante il parallelo tra l’attività del Guerriero, che è sempre e ovunque pronto all’azione, e quella dell’Universo, in cui le forze opposte si susseguono e si alternano senza fine. È forte dunque colui che sa mantenere se stesso sempre pronto al cambiamento. Colui che non ha bisogno di trascinare con sé un’ingombrante zavorra di sicure abitudini potendo invece muoversi immediatamente, sempre reattivo nel Corretto Correggersi.

Abbiamo esposto le Otto Vie per l’equilibrio secondo l’insegnamento del Buddha nell’ordine in cui la logica le impone. Ma non si vuole dire con questo che si sia enunciata una gerarchia. Significa che il Corretto Correggersi non è il livello alto mentre il Corretto vedere sia il livello basso!
Le Otto Vie non sono una scala, bensì piuttosto un cerchio. Che potrebbe avere il Corretto Correggersi come fulcro centrale, come riferimento. Ogni Via è importante e indispensabile, ed in ognuna deve essere implicita la capacità, sempre, di correggersi prontamente e correttamente.
Nell’utilizzare la meditazione San per costruire ed allenare la perizia necessaria per il Corretto Correggersi quindi non si effettua, come qualcuno potrebbe pensare, una specie di “preghiera”, ma un vero e proprio allenamento di preparazione alla capacità di trovare e mantenere un profondo equilibrio.
Vengono infatti suddivise in tre parti le pratiche del buddismo: lo studio della filosofia buddista è la prima; poi c’è la preghiera vera e propria, rivolta alla divinità; infine la pratica della meditazione San, che non è nessuna delle due precedenti.
È curioso l’effetto che ha prodotto su di me la stesura di questo discorso sulle Otto Vie.
Ricordo bene: da bambino e da ragazzo ne sentivo spesso parlare, venivano citati di frequente. Eppure in questa occasione, studiando nuovamente questi precetti e riflettendo su di essi per rielaborarli, mi ha pervaso una sensazione del tutto nuova ed inattesa. Mentre un brivido di emozione mi ha preso nel ritornare oggi, nella maturità, su questi argomenti così familiari ma da troppo tempo accantonati, nello stesso tempo mi sono reso conto di quanto difficile sia il conformarsi realmente a queste indicazioni.
L’averle tradotte, spiegate e commentate mi ha fatto sentire meglio. Sia perché è stato ed è di stimolo innanzitutto per me, sia perché potrà essere una grande guida per gli studenti nella pratica della Disciplina marziale e, anche e soprattutto, nella vita.
Questi insegnamenti infatti non hanno confini di razza, di religione, di nazionalità e nemmeno di tempo. Perché sono universali.

Molte persone si avvicinano alle discipline orientali, ma nondimeno alle religioni, come anche alle dottrine esoteriche di qualsivoglia tipo, pensando di poter ottenere qualche sorta di miracolo. Intendo dire che sovente lo studio o l’apprendimento di tecniche e/o filosofie spirituali, nelle quali possiamo senz’altro includere anche le Arti Marziali, è mosso da un desiderio di ricerca che spesso si posa su basi non chiare. Ho conosciuto molte persone che venivano a studiare discipline come il Tai Chi o lo Yoga pensando di trovare una Via per un qualche tipo di illuminazione che potesse rappresentare un punto di arrivo. Così qualcuno chiedeva quanto tempo fosse necessario per imparare il Tai Chi. O per diventare Cintura Nera. Una volta raggiunto “il risultato”, pensavano, sarebbero arrivati. Ma la domanda è: quale “risultato”? E “arrivati” dove? A che cosa?
Noi non abbiamo la certezza che, una volta giunti ad un qualche tipo di livello, i problemi scompaiano o si risolvano da soli. Non abbiamo una risposta miracolosa che ci liberi per sempre dalla fatica di apprendere cose nuove ma soprattutto di mantenere e migliorare quello che abbiamo. Non esiste un bottone perfetto che, una volta premuto, ci conduca al paradiso.
In tutto questo scritto ho voluto sottolineare proprio questo. È l’azione la chiave di tutto. Evitare di impigrirsi, rifiutare anche solo di pensare che un’abilità o una capacità, una volta acquisita, possa senz’altro essere nostra per sempre; è l’unica strada questa per ottenere davvero qualche risultato. Anche il migliore dei maestri, senza allenamento costante, finisce per non essere più maestro. Per perdere ciò che ha acquisito.
E dunque la soluzione è tutta qui. Iniziare ad amare la fatica; amare il fatto di convivere con uno sforzo costante è la Via di cui stiamo discutendo. Che ugualmente non ci garantisce risultati eterni, poiché per tutto e tutti c’è una fine prima o poi. Ma ci restituisce almeno una vera certezza, che è quella di essere attivi e presenti in ogni istante della nostra vita.
Perciò unisco le mie mani ancora oggi in segno di ringraziamento verso colui che ha dato al Kung Fu proprio questo nome, che significa “duro lavoro”, “merito”. Giacché non esiste nulla al mondo senza merito e senza duro lavoro.
Comprendere il significato di questa parola e applicarlo ad ogni cosa dell’esistenza è già Via per l’illuminazione.